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  IMPARA L’ARTE
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Gregorio Botta, Pollock vs Rothko, Il gesto e il respiro

Usando come punto di partenza gli affreschi dell’Angelico a Firenze, Gregorio Botta in Pollock vs Rothko racconta le esistenze opposte e parallele di due grandi artisti del Novecento, spiegando le radici, la genesi e le conseguenze di due modi di dipingere agli antipodi.

Sicuramente un libro sorprendente, nel quale si intrecciano tre registri: vita, critica e autobiografia.

La trama di Pollock vs Rothko

Nel solco della tradizione delle vite vasariane, Botta racconta in maniera critica la vita di due artisti che sebbene contrapposti hanno tanti punti di contatto. Mettendo insieme le due storie emergono le differenze ma soprattutto le congiunzioni: gli amici, i galleristi, le mostre, la morte.

Dal punto di vista formale sono autori che incarnano due idee antitetiche di fare arte: pittura tonale contro pittura timbrica, pittura attiva contro pittura contemplativa. Botta parla di yin e yang, ma potremmo parlare di una dimensione apollinea incarnata da Rothko e di una dionisiaca incarnata da Pollock. Da un lato il dripping, apoteosi del gesto, del movimento, della densità, della materia, celebrazione dell’io, dall’atra parte la contemplazione, il silenzio, la sparizione dell’io dal mondo, l’epifania della luce, l’immaterialità, l’intimo. 

Botta definisce con un ossimoro le loro esperienze, divergenze parallele, riferendosi al carattere e alla loro opposta interpretazione della pittura. Se in Pollock è il dripping a dominare, con l’esaltazione del gesto sciamanico della materia, della densità dell’io che segna il mondo, in Rothko sono i color field a prendersi la scena. A prevalere sono il silenzio, la contemplazione, il nascondimento dell’io, la luce, le velature.

Il colore scelto da Pollock è quello timbrico, insensibile alla luce, premendolo dal tubetto sul quadro o versandolo direttamente dai barattoli. Rothko invece condivide la pittura tonale attenta ai cambiamenti di colore investiti dalla luce.

Siamo in un sistema di antitesi. Due mondi che si guardano da una certa distanza, sullo sfondo del grande sogno americano, sul bisogno di inventare uno stile che sia espressione dell’American Dream.

Eppure, il sogno è ferito. Vivono in un mondo in cui la politica aveva un ruolo decisivo, eppure entrambi scelgono delle vie di fuga, la loro non è un’arte impegnata, non prende posizione rispetto al mondo. Imboccano due strade diverse. Rothko ha dentro di se due grandi miti: Monet e Matisse; Pollock ha dentro di se Picasso. La lentezza, la dimensione ieratica, il senso profetico, il silenzio di Rothko, il senso della dismisura e l’urlo in Pollock.

Conclusione

Hanno spostato il baricentro della pittura da Parigi a New York. Hanno dischiuso due grandi geografie dell’arte. Hanno condiviso amici e galleristi. Hanno esposto insieme, frequentato gli stessi critici d’arte, bevuto fiumi di whisky. Li accomuna anche la morte tragica. Eppure, Jackson Pollock e Mark Rothko non potrebbero avere linguaggi più diversi. Il primo diceva «Io sono la natura», e attraverso il dripping ha cercato l’espressione di sé. Il secondo ha inseguito il silenzio, la luce, il vuoto del non sé.

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