Fino al 22 maggio Palazzo Ducale a Genova ospiterà un’incredibile mostra sui capolavori di Claude Monet. Le opere provengono direttamente dal Museo Marmottan di Parigi.
Il legame tra Monet e il Museo Marmottan di Parigi
Il Musée Marmottan Monet deve il suo nome a due figure emblematiche: Paul Marmottan, studioso, collezionista e storico dell’arte, e Claude Monet, artista prolifico e capofila dell’impressionismo. Il museo apre al pubblico nel 1934, in seguito al lascito di Paul Marmottan al’Académie des beaux-arts. L’impressionismo fa il suo ingresso poco dopo: nel 1940 Victorine Donop de Monchy dona undici dipinti impressionisti, tra cui l’opera che aveva dato il nome al gruppo: Impressione, levar del sole. Vent’anni dopo Michel Monet, figlio minore del pittore nomina l’istituzione erede universale e oltre cento tele di Monet, tra cui un gruppo ineguagliabile di grandi Ninfee, entrano nella collezione del museo.
La pittura di Monet
A partire dagli anni trenta dell’Ottocento, la natura assume un ruolo centrale nella pittura. Se nei secoli precedenti faceva da sfondo ai dipinti ora diventa protagonista. Complice la facilità negli spostamenti in treno e l’invenzione dei colori in tubetto, gli artisti escono dagli atelier e si immergono nella natura per coglierne luci, ombre, movimenti e oscillazioni. Claude Monet, capofila del gruppo, insieme ai suoi compagni di avventura diventa “il pittore delle bellezze meteorologiche” per riprendere un’espressione del poeta Charles Baudelaire.
Nel periodo della sua formazione il giovane Monet è attratto dai soggetti moderni, legati allo sviluppo della società e del tempo libero. Questi temi gli permettono di rappresentare le attività umane ma anche di inserire motivi paesaggistici, come grandi specchi d’acqua o distese di verde, con diversi effetti fi luce. Ne risultano opere che non rappresentano la materialità del soggetto, ma solo la sensazione cromatica e l’intensità luminosa.
L’adesione del pittore al paesaggio
Quando nel 1883 si stabilisce a Giverny Monet amplia il repertorio di motivi, seguendo la parabola del sole dal mattino alla sera, dalla primavera all’inverno. Questa adesione totale al paesaggio è segnata in particolare dalla realizzazione di un insieme di tele che inaugura il principio della serie, dove a scandire il ritmo creativo è il costante mutare della luce. Al di là di qualsiasi considerazione sul soggetto, è la luce stessa il tema della ricerca dell’artista, lo strumento principale della sua estetica. Libero da qualsiasi costrizione formale, il colore conquista una propria autonomia e l’opera riflette un’istantaneità che la inserisce nel fluire incessante della vita. Pur partendo da uno spunto solidamente ancorato alla realtà, la pittura di Monet riesce ad attingere alle vette del sublime, muovendosi sul filo dell’astrazione, oltre l’impressionismo stesso.
Le Grandi decorazioni è il titolo dato dallo stesso Monet a un insieme di tele ispirate al giardino acquatico di Giverny. I dettagli amplificati dello stagno vibrano sotto il pennello dell’artista, che insiste più sull’onda luminosa che sulla macchia di colore.
Coeve alle Grandi decorazioni, le serie dei Ponti giapponesi, dei Viali delle rose e dei Salici piangenti costituiscono altrettante testimonianze della modernità dell’ultimo Monet. In lotta da 1912 con una cecità invalidante, il pittore attinge alle risorse del suo genio facendo evolvere la sua pittura in maniera radicale. Le pennellate diventano più evidenti e sembrano vibrare al ritmo delle sensazioni luminose, più che restituire con precisione la percezione ottica. Anche grazie a un gesto pittorico amplificato, le tele esplodono in uno slancio lirico che sembra fatto per ispirare i futuri espressionisti americani come Jackson Pollok.