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  IMPARA L’ARTE
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Gli artisti e la guerra

Gli artisti hanno sempre rappresentato la guerra. Per celebrare le gesta di un committente, aderendo liberamente per ragioni nazionalistiche ma soprattutto per denunciarne la follia e i disastri.

Picasso, Guernica, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid, 1937

L’apice della denuncia lo raggiunge Picasso con la Guernica, simbolo universale degli orrori della guerra.

Si narra che, l’ambasciatore nazista in visita all’atelier di Picasso a Parigi, davanti a una foto di Guernica gli abbia chiesto “Maestro, ha fatto lei questo orrore?” e lui “No, l’avete fatto voi”.

Peter Paul Rubens, Le conseguenze della guerra, Firenze, Palazzo Pitti, 1637

Agli anni trenta del Seicento risale la grande tela dipinta da Peter Paul Rubens su Le conseguenze della guerra. Tra le molte figure Marte, viene trainato da due mostri che rappresentano la Peste e la Fame, compagni inseparabili di guerra. Al suolo giace una donna con un liuto rotto, Armonia la quale è incompatibile con la discordia della guerra. Una madre con il bambino in braccio, testimoniano come la Fecondità e la Carità vengono travolte dalla guerra corrompe e distrugge ogni cosa. Giace un architetto con i suoi strumenti a testimonianza del fatto che quello che viene costruito in tempo di pace, viene ridotto in rovina dalla furia e dalla violenza delle armi.

Con la grande libertà di artista moderno Francisco Goya, prima di Picasso con Guernica, è riuscito a rappresentare la ferocia e la paura della guerra con tale cruda intensità. La decisione dell’artista di consegnare all’arte grafica i suoi più profondi sentimenti giunse, nel suo percorso creativo, tardi e rappresentò un momento di grande ripensamento in merito alla sua vita e alla sua produzione artistica.

Goya racconta in 82 incisioni  “Los desastres de la guerra”, vero e proprio documento di disperazione, una presa d’atto delle sanguinose conseguenze degli eventi storici e la consapevolezza che l’arte può e deve esserne testimone.

Seppellire e tacere

Una coppia sconsolata si tura il naso per non annusare il fetore che sprigiona il mucchio di cadaveri maleodoranti ammucchiato ai loro piedi, tutti denudati da quelli che ne approfittano. La morte, nello spettacolo di desolazione, è la protagonista della stampa, una delle più patetiche e di miglior risoluzione plastica della serie.

Stragi di guerra

Una bomba ha distrutto una casa e ha provocato un’esplosione di ciò che conteneva; il corpo di una giovane donna cade su un mucchio di cadaveri dilaniati dallo scoppio. Ispirata agli avvenimenti del primo assedio di Saragozza, la scena creata da Goya è convincente e piena di drammaticità.

Fuggono dalle fiamme

Goya torna qui a mostrare gli effetti drammatici di un bombardamento, mirabilmente suggerito dal bagliore sullo sfondo che profila i cadaveri dell’orizzonte.

Honoré Daumier, Consiglio di Guerra

Dal dipinto alla fotografia

Dopo Goya le stampe e le vignette dei giornali permetteranno agli artisti di moltiplicare i destinatari di questo tipo di messaggio. Al 1872 risale la litografia di Honoré Daumier sul Consiglio di Guerra. Cinque scheletri avanzano, sono morti da poco, uno ha ancora addosso l’uniforme da generale, un altro non ha più la testa. Il gruppo è guidato da quella che fu una madre con il suo bambino per mano. Sono i “testimoni” della guerra, il prodotto, l’effetto, il risultato di ogni guerra. Ora questi terribili testimoni stanno raggiungendo la loro meta: la sede del consiglio di guerra, dove siedono i politici che quella guerra hanno deciso, ordinato, condotto. Ora devono trovarsi faccia a faccia con le conseguenze delle loro decisioni. Questa è una potente allegoria delle responsabilità delle scelte politiche.

Con la fotografia d’arte ai nostri giorni, la denuncia della guerra acquista uno strumento potente. Le potenti immagini dell’iraniano Gohar Dashti riescono a comunicare l’abisso della popolazione costretta a condurre una vita “normale” in mezzo alla guerra.

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